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Il trainer-pastoraio dei Quartieri Spagnoli: «Lo sport e l’arte per salvare i nostri ragazzi»

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Il traffico non scorre mai tranquillo, in questa zona di Napoli. Siamo fra l’Istituto Pontano e Corso Vittorio Emanuele, due passi sopra i Quartieri. Basta un minuto, usciti dalla funicolare, per leggere la targa “Associazione Sportiva Q. S.” di Massimiliano Vitiello, professione trainer e maestro pastoraio.

Chi ancora pensa che i muscoli siano inversamente proporzionali alle facoltà intellettive dovrebbe passare qui, conoscere Max e i suoi ragazzi di Salita Cariati, in uno spazio di circa 60 metri quadri adibito a palestra e sala fitness. Se cercate solo un posto dove pompare i bicipiti e l’ego di fronte a uno specchio, allora meglio andare da qualche altra parte. Qui Massimiliano, figlio dei Quartieri come molti dei suoi iscritti, ha creato una famiglia. Dove tutti si conoscono per nome, si rispettano, scambiano chiacchiere ed esperienze di vita; dove puoi trovare lo studente universitario che si allena vicino all’ex membro di una baby gang, quelli che Max ha letteralmente tolto dalla strada perché forte di una consapevolezza: da queste parti non c’è spazio per la violenza e la sopraffazione. Qui tutti rispettano tutti. Senza differenza di sesso, mestiere, razza, età.

«Lascialo dove vuoi il cappotto, non ti preoccupare. Qua nessuno si prende niente». Massimiliano parla chiaro: in questa palestra non ci sono armadietti da chiudere a chiave. Gli effetti personali dove li metti, là li trovi. «È il primo passo verso il rispetto reciproco», dice. Lo spazio è piccolo, più di una ventina di persone alla volta è difficile riescano a entrare per allenarsi. Ma di questo Max non ha mai fatto un limite. «Anzi: è un punto di forza – continua – qui abbiamo creato un gruppo che va oltre il semplice andare in palestra. Io conosco questi ragazzi uno per uno, conosco le loro storie e i sacrifici che fanno per far quadrare i conti a fine mese. Perché qui tutti, spontaneamente, danno una mano per far sì che questo posto vada avanti». Inutile girarci intorno: far fronte alle scadenze mensili non è cosa semplice per un’associazione sportiva che si autofinanzia totalmente: «Né vogliamo nulla dalle istituzioni – dice Max – che hanno già altri problemi cui pensare. È vero: abbiamo ragazzi che vengono dalla strada, gente che se oggi non fosse qui avrebbe fatto una fine “diversa”, se così possiamo dire. Non ho timore nel dire che questo centro ha svolto e svolge una funzione sociale: quella di insegnare il rispetto reciproco a chi, magari, prima di mettere piede qui dentro pensava di poter dimostrare il proprio coraggio solo usando violenza contro il prossimo». In una zona non certo facile come i Quartieri, definire quella di Max Vitiello una palestra appare abbastanza riduttivo, considerato anche ciò che vediamo attorno, su mensole e muretti divisori.

In quale altra palestra è possibile trovare una piccola mostra presepiale fra manubri, pesi e panche da allenamento? Max Vitiello, come abbiamo accennato, non si limita a curare il metro e novanta del proprio corpo. Quando non è qui prende gli attrezzi del mestiere e si trasforma in un eccellente pastoraio, di quelli che non sfigurerebbero manco di un grammo fra i vicoli di San Biagio dei Librai e San Gregorio Armeno. Lavorazioni in sughero, terracotta e argilla fra cui spicca una Natività di bianco vestita: «Sì, non ne troverai altre così – precisa Max con una punta di orgoglio – i vestiti interamente bianchi, su San Giuseppe e Maria, non sono così diffusi nell’iconografia pastorale napoletana. Io ho voluto vestirli così perché è così che mi immagino debbano essere i rapporti fra le persone: chiari, limpidi, puri. Ciò che ho sempre cercato di insegnare ai miei allievi, fra queste quattro mura, lo voglio portare fuori, letteralmente. Farne uno stile di vita». Coltivare il fisico ma anche l’estro, la mente, la curiosità, la voglia di scoprire fin dove la creatività può arrivare. È quello che vediamo in questi ragazzi, dall’elettricista all’addetto rimessaggio barche, dal carabiniere allo studente del vicino Ateneo. Nessuna competizione che non sia legata a una sana visione dello sport.

Accanto ai pastori troviamo altre opere di artigianato. Un ammennicolo a forma di Vesuvio, con la base a forma di maschera di Pulcinella, desta una certa curiosità: «Questo è il simbolo della Napoli che non ride più – ci spiega Max – della Napoli sommersa dai problemi che ha perso la voglia di scherzare; ma, allo stesso tempo, è un simbolo di speranza, di rinascita: questo pennacchio di fuoco bianco posto in cima è il cambiamento che ognuno di noi può raggiungere. Basta volerlo». Una cosa su tutte, Max non riesce a sopportare: lo stereotipo che vede il napoletano sempre avvezzo al dolce far niente, un essere mitologico completamente privo della famosa “Cultura del Lavoro”. «Sono discorsi che non tollero. Ho creato questa piccola realtà anche per dimostrare che di voglia di lavorare e metterci in gioco ne abbiamo da vendere, così come la capacità di fare sacrifici quando necessario. Ma in generale io non tollero nessuna forma di discriminazione: chi si mostra omofobo o razzista, e non ha intenzione di confrontarsi con opinioni diverse dalle sue, qui dentro non mette nemmeno piede». Nel salutarci si accende una sigaretta (qualche vizio è concesso), si mette all’ingresso e guarda il traffico di Salita Cariati, quell’arteria che dalla pancia dei Quartieri conduce verso le zone “alte”. La sua vita è qui dentro, in un pezzo di Napoli che non vuole solo “resistere” ma anche costituire un modello, un esempio di ciò che questa città è in grado di esprimere. Di quella solidarietà che qui non è solo un vuoto gioco di parole.


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