Dall’arte alla cucina, passando per la moda e la filosofia: Napoli non teme rivali. Neanche a Beaucaire, nella lontana Provenza, dove dal 9 all’11 ottobre avrà luogo il Salon Made in Naples, un’esposizione di eccellenze campane che sono il vanto del “Made in Italy” o, più correttamente, del “Made in Sud”. Promotore dell’evento, realizzato insieme a Confartigianato Napoli, è Massimiliano Verde, presidente dell’associazione Notre Napule’a Visionaire e docente di lingua partenopea in Provenza. «Il mio desiderio è pubblicizzare quei tre quarti di Napoli di cui non si parla mai, facendo di proposito disinformazione ed invitando all’assuefazione ed all’ineluttabilità di un destino per ridurre la realtà napoletana a solo un quarto…».
Come nasce la sua attività in Provenza?
Dalla volontà di riscoprire comuni origini storico-culturali e linguistiche e quindi favorire la riapertura di una route, appunto, Provenza-Napoli. Le reciproche influenze (lingua, religione, arte, gastronomia) sono alla base di questo progetto che ha il patrocinio morale del Comune e della Città Metropolitana di Napoli ed è supportato anche dal Grenoble di Napoli.
Perché ha scelto di insegnare napoletano?
Questo lavoro è portato avanti dall’associazione di cui sono presidente e può essere da esempio per altre identità non solo europee: Napoli come ponte di dialogo verso i popoli del Mediterraneo. Il fine è aiutare anche noi stessi a riscoprire il senso della nostra storia e soprattutto il valore della civiltà napoletana che dobbiamo rispettare e che, come ci ricorda l’Unesco, si è irradiato anche oltre i confini europei. Sono fermamente convinto che nessun tipo di riscatto socio-culturale sia possibile per il popolo napoletano senza il recupero e il ripristino del senso della propria identità che parte dalla conoscenza della propria lingua. Un popolo senza lingua non esiste.
Quanto è difficile la forma scritta della lingua napoletana?
Molto, ma con un lavoro di recupero storico e quotidiano si può apprendere per bene. Terrò una conferenza sul tema alla 50&Più di Napoli, dove l’amico Nazario Bruno sta realizzando un corso d’ortografia di napoletano. Stiamo ponendo le basi di un vero e proprio metodo d’apprendimento base con punti fissi relativi all’ortografia condivisi da tutti gli esperti della materia; un’operazione storica che speriamo porti all’introduzione del napoletano nelle scuole. Cosa che tra l’altro già faccio qui in Provenza e mi appresto a fare anche in Campania.
Come appaiono l’Italia e Napoli agli occhi dei francesi?
Sono viste con rispetto per la grandezza culturale ed umanistica che rappresentano. In Provenza Napoli è considerata ancora una capitale mondiale della cultura… Non è solo “Gomorra” e “munnezza”. I francesi ridono delle nostre tipiche affermazioni (ad esempio o’ ciuccio ca vola), ritenendole delle immense boutade. Ma quando gli spiego degli autori meridionali scomparsi dai testi scolastici o della sentenza della Cassazione per cui “dare del napoletano a qualcuno” che ha un comportamento sgusciante, ambiguo e non velatamente truffaldino, non è reato, si mettono le mani in faccia e affermano decisamente: «Il faut une révolution!» , ovvero «dovete fare la rivoluzione!».
Perché si ha tanto paura della diversità?
È una questione di civiltà. Le civiltà, come quella napoletana, da millenni reciprocamente meticciate, sono quelle per cui la diversità, come diceva il grande giornalista Ghirelli, è “curiosità” del e verso l’altro. Napoli non teme nessuno su questo campo, anzi è esempio per l’imanità tutta, nonostante i grandi problemi sociali che la attanagliano per colpe non sempre, e non solo, sue…